La crisi ha avuto impatti diversi nei vari settori. Test di massa invece di lockdown.
Come sarà il Ticino post Covid? L’economia ha resistito a questo tsunami inaspettato che ha impattato sui modi di produrre e consumare? Quali misure sono richieste all’ente pubblico, a tutti i livelli istituzionali, per ripartire? Sono i temi che sono stati affrontati durante una tavola rotonda – rigorosamente digitale come impongono le norme anti-Covid – organizzata dall’Associazione bancaria ticinese dal titolo ‘Banche e industria, un binomio vincente nella crisi pandemica’. Ospiti Giorgio Calderari, presidente di Farma Industria Ticino; Andrea Gehri, presidente della Camera di commercio; Luca Pedrotti, direttore regionale di Ubs e Stefano Rizzi, direttore della Divisione dell’economia del Dfe. L’incontro era moderato da Franco Citterio, direttore dell’Abt.
Nei momenti di crisi, l’intervento pubblico è fondamentale per evitare il crollo della domanda e una crisi più profonda. È successo altre volte nella storia, ma quanto avvenuto nel 2020, per quanto riguarda i volumi, ha pochi precedenti. La Confederazione, tra indennità per lavoro ridotto e di perdita di guadagno, il sostegno ai cosiddetti casi di rigore e il programma di crediti garantiti, ha stanziato circa 75 miliardi di franchi. Nel solo Ticino la quota di crediti Covid erogati dalle banche è ammontata a 1,3 miliardi di franchi (17 miliardi a livello nazionale). A un anno allo scoppio della pandemia, i rischi economici si sono sì attenuati, ma la coda della crisi sarà probabilmente lunga. «I fallimenti aziendali potrebbero aumentare nei prossimi mesi», ha ricordato Citterio.
Stefano Rizzi ha tracciato un quadro dell’economia cantonale a tinte meno fosche rispetto solo a pochi mesi fa. «Il contraccolpo c’è stato, ma la struttura economica si è dimostrata resiliente tanto che il calo del Pil, nell’ultima parte dello scorso anno, è stato meno pronunciato del paventato», ha affermato Rizzi. Si è passati dal possibile -8% ad aprile al -2,9% di fine anno. Per il Ticino il calo del Pil è stimato dal Bak al -4%. Ci sono stati settori che sono addirittura cresciuti durante lo scorso anno, come il settore finanziario e il commercio al dettaglio. Altri, come la ristorazione, l’industria degli eventi e dell’intrattenimento, hanno subito un duro colpo che per molti potrebbe essere ferale. Anche il mercato del lavoro, a detta di Rizzi, ha dimostrato capacità di assorbire la disoccupazione. Un ruolo importante lo hanno avuto le indennità per lavoro ridotto che hanno contribuito a evitare licenziamenti di massa. Sulla necessità dell’intervento pubblico, con dei distinguo, ha concordato anche Andrea Gehri, presidente della Camera di commercio. «Nella prima fase c’è stato un approccio dello Stato molto più pragmatico. Ora, complice la stanchezza della popolazione e l’insofferenza verso decisioni contraddittorie dell’autorità federale, aumenta il disagio e la disobbedienza», ha commentato Gehri ricordando che comunque si è fatto meglio di altri Paesi. Cosa succederà dopo? «Molto dipenderà dalla fiducia e dal livello dei consumi. È certo che la cooperazione tra ente pubblico e banche è stata fondamentale per erogare rapidamente importante liquidità alle aziende», ha precisato il presidente della Camera di commercio. L’interrogativo di Gehri è sul fatto se le banche saranno disposte a sostenere ancora le aziende nei prossimi mesi, quando magari la situazione potrebbe essere più critica.
Su questo punto Luca Pedrotti è stato chiaro. «Anche le banche sono aziende e devono rispettare oltre ai criteri di sostenibilità economica, anche norme legali». Questo per dire che non è il ruolo delle banche quello di sostituirsi allo Stato. Anzi, quest’ultimo dovrà cambiare approccio e passare dai sussidi a un sistema di accompagnamento strategico verso il cambiamento della struttura economica in atto. Uno dei settori che durante la pandemia ha potuto lavorare senza interruzioni è stato quello farmaceutico. «Eravamo un ramo indispensabile durante il primo lockdown. Un riconoscimento importante per le aziende e i pazienti», ha ricordato Giorgio Calderari. Ma non è andata comunque liscia come l’olio nemmeno per loro. «La pandemia ha causato un grosso impatto nella ricerca bloccando lo sviluppo di prodotti che arriveranno più tardi sul mercato. In generale la propensione al rischio rimane elevata e molti imprenditori stanno investendo e anche in Ticino ci sono realtà innovative come Humabs Biomed e Gain Therapeutics che fanno ben sperare», ha affermato Calderari. Sull’ipotesi di un lockdown duro, sul modello tedesco, tutti hanno concordato che non è una soluzione. «Come associazione mantello dell’economia non abbiamo mai chiesto riaperture indiscriminate, ma controllate e rispettando le norme sanitarie. Ci sono settori in sofferenza, penso alla ristorazione, che potrebbero generare disoccupazione», ha affermato Gehri. Pensiero condiviso anche dal presidente di Farma Industria. Entrambi gli imprenditori hanno chiesto a gran voce che il Ticino si adegui alla indicazione della Confederazione di effettuare test di massa nelle aziende.
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